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Parlare di cura e salute non è sempre facile, perché queste parole suscitano un insieme di emozioni complesse e talvolta disforiche: indubbiamente la gratitudine per un’opportunità di terapia e la speranza di una vita migliore, ma anche la paura del dolore, l’ansia del futuro, e la “questione” delicata della malattia, come parte purtroppo possibile e reale della natura umana. La salute, dopo tutto, non è solo un dato clinico, o un sintomo da curare attraverso un farmaco possibilmente, ma un terreno su cui si alimentano e crescono le nostre aspettative e la progettualità di ciascun di noi, e “comunicare la salute” vuol dire immergersi in una storia che è profondamente intima e personale quanto, al contempo, universale, un argomento che interseca le barriere culturali, sociali, ed etiche.
Presentare quindi una nuova terapia e spiegare i meccanismi di suo funzionamento, non si esaurisce nella corretta “informazione scientifica”, e il settore farmaceutico è, da questo punto di vista, uno dei più regolamentati al mondo, cosa che può limitare la libertà di comunicazione e richiedere un’attenzione particolare nella scelta delle parole e dei messaggi. Ma la comunicazione farmaceutica significa prima di tutto saper comunicare con profonda umanità, facendosi carico della comprensione della psiche umana, e della rispettosa capacità di empatizzare con le paure e le speranze di chi vive il viaggio della malattia e della cura. Proprio per questo diventa strategico per le case farmaceutiche l’affidarsi ad agenzie di comunicazione competenti e in grado di sviluppare un approccio più etico, consapevole e responsabile verso questi contenuti che, se da un lato devono informare su aspetti specifici e “scientificamente corretti” dall’altro lato devono fornire un corretto equilibrio con il dare una veritiera speranza di cura e la possibilità reale di confortare la psicologia del destinatario, creando con quest’ultimo un legame di fiducia e affidamento.
La medicina e il progresso di molte scoperte scientifiche, spesso concentrate anche in pochi anni, hanno totalmente ribaltato anche il “classico” rapporto tra farmaco e consumatore, quasi sempre mediato dalla figura del medico. Il bisogno della salute, unito ad un “paziente” più informato e anche evoluto nella ricerca dei contenuti di valore, ha completamente destrutturato questa relazione e ha permesso alle stesse case farmaceutiche di entrare in una relazione diretta con gli utenti, parlando a quelli. Informare su benefici, caratteristiche, posologie e rischi nell’assunzione di una terapia non è però sufficiente. Dietro alla cura, emergono i dubbi, le paure e i disagi psicologici di chi poi quella terapia dovrà farla, a causa di una condizione clinica che, in certi casi, può anche diventare uno stigma perenne, responsabile di isolamento fisico e psicologico.
In questo contesto la comunicazione farmaceutica non è soltanto un accessorio, ma un pilastro nel dialogo con i consumatori a cui dover trasferire anche concetti “delicati” e complessi (a volte di vita o di malattia) in maniera efficace e accessibile, dove l’accessibilità risiede anche nella “decodifica empatica” corretta dei contenuti, e nella significativa percezione dei prodotti farmaceutici. Quando contenuti e informazioni sono presentati in modo chiaro, preciso e, soprattutto, rispettoso delle diverse sensibilità e bisogni del pubblico, si crea un terreno fertile per la fiducia dei pazienti e un legame profondo e connessione emotiva tra casa farmaceutica e consumatore del farmaco rendendo quest’ultimo un partecipante attivo nel proprio percorso di cura, che contribuisce a far sentire le persone ascoltate, capite, accudite e supportate. Non si tratta quindi solo di far conoscere un prodotto, ma di mostrare come quel prodotto possa realmente migliorare la vita delle persone, fornire sollievo, ed essere un alleato nella ricerca per la salute. Quando le persone percepiscono che le aziende farmaceutiche sono non solo fornitori di prodotti, ma facilitatori nel percorso di cura, la percezione di questi prodotti si trasforma ed essi diventano portatori di soluzione, sono promesse di sollievo, di guarigione, di speranza, ossia responsabili della tanto agognata salute. Una comunicazione efficace nel settore farmaceutico può pertanto fare molto: può cambiare vite.
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Esistono poche sfere della vita umana che toccano le corde dell’emozione tanto quanto il tema della salute. E affrontare una malattia o un disturbo richiede non solo resistenza fisica, ma anche forza emotiva, perché (talvolta) bisogna affrontare un percorso pieno di incertezza, fatica, speranza. Le informazioni accurate relative ad un prodotto di cura sono la base e il punto di partenza di ogni comunicazione efficace nel settore farmaceutico, tuttavia, per quanto un’azienda del settore possa sforzarsi di rendere quanto più comprensibili anche i concetti più complicati in termini scientifici, ogni individuo avrà poi un proprio modo di comprendere e interpretare quei contenuti. Questo perché la loro codifica comprende una miriade di fattori come educazione, esperienze di vita, credenze ed emozioni. Prendiamo, ad esempio, il caso di un farmaco per l’asma. Un paziente potrebbe leggere il foglietto illustrativo, comprenderne gli effetti, eppure sentirsi ancora più ansioso o preoccupato da quei contenuti, per via della paura da “effetti collaterali“, incertezza sulla capacità di soluzione, o anche il timore che l’uso del farmaco significhi ammettere la gravità della propria condizione.
Una campagna di comunicazione che riesca ad affrontare queste preoccupazioni, che fornisca testimonianze di altri pazienti, che rassicuri sull’efficacia del farmaco, può far sentire il paziente più a suo agio, più fiducioso, e quindi più incline ad iniziare e continuare il trattamento. Sono quindi queste leve psicologiche che rendono ciascuno di noi, nel ruolo di “paziente“, più o meno propenso a utilizzare un farmaco. Diventiamo noi stessi “parte della storia” di questo prodotto e suoi ambasciatori, condividendo le personali esperienze positive con altri. Quindi, nel mondo farmaceutico, una buona comunicazione non si limita a trasmettere informazioni. Va oltre, entrando in contatto con il mondo interiore del paziente, rispondendo alle sue domande, ascoltando le sue preoccupazioni, condividendo storie di successo. In questo modo, non solo si contribuisce a una migliore aderenza al trattamento, ma si migliora anche la percezione del farmaco e dell’azienda che lo produce e si realizza davvero una “comunicazione che cura“.
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